UNA CANZONE D'AMORE

Il bardo si inginocchiò e cominciò a raccontare quel che tutti vedranno

"Pensaci tu, adesso"

Ciao, come va?

Abbastanza bene, tu?

Abbastanza bene, grazie.

Cosa hai fatto oggi?

Questa mattina mi hanno rapito.

Ah sì? E chi è stato?

Non ne ho idea.

Capisco. E hanno chiesto il riscatto?

Fortunatamente no, non hanno chiesto il riscatto.

Perché fortunatamente?

Perché è meglio così, altrimenti qualcuno dovrebbe pagarlo.

Giusto.

Fu in quel preciso istante che l'Airone spiccò il volo su un panorama di immagini roteanti provenienti da quarantuno primavere verdi variegate all'amarena e la ruota del mulino bianco roteante essa pure a ritmo con le immagini proiettò sul maxischermo appeso all'arcobaleno il film della famiglia del mulino bianco con i sorrisi imbalsamati a 32, 48 e 64 GB di denti con scheda video incorporata all'amido di mais e tapioca con le ultime gocce di olio di palma in procinto di evaporare a seguito della persecuzione razziale del XXI secolo insieme con le prime gocce di pioggia che caddero dopo l'arcobaleno nel momento in cui la ruota dentata del tempo ingranò la retromarcia per permettere ai più distratti di ammirare in un gif animato sempreverde e sempiterno il lampo che saliva e scendeva dalla terra al cielo e dal cielo alla terra così come le bocche estasiate degli astanti si schiudevano e socchiudevano ininterrottamente finché le dita della mano della famiglia Addams tolsero le pile dal vangelo secondo Giovanni congelando in un ghigno indecifrabile lampi lamponi e cioccolato che la sapiente presa del gelatiere componeva baroccheggiantemente nel cono da sei euro che si teneva in equilibrio sulla punta e per poter restare in equilibrio sulla punta aveva un bisogno irrefrenabile di roteare come una trottola a righe rosse e gialle e come aveva roteato una qualsiasi delle immagini rosse e gialle attorno alle ali dell'Airone che nel frattempo si era messo a balzellare sul pelo dell'acqua dell'onda dell'oceano della pozzanghera in cui lei, sì, sto parlando proprio di lei, si specchierà con malizia intenzione ed apprensione un attimo prima di guardarlo negli occhi per la terza volta, lui, sto parlando proprio di lui, immaginando cosa rispondergli quando lui non le chiederà nient'altro che di specchiarsi in una pozzanghera di cristallo macchiata di fango e di latte freddo davanti a quel caffè che da seicentocinquantasette anni aspettavano di bere insieme in piazza del duomo proprio di fianco alla fontana attorno alla quale già da molte ore erano soliti radunarsi gli studenti all'uscita da scuola per immergere nella sua acqua mai stagnante i loro quattordici zaini impregnati di testi scolastici e desideri di cui un venticinque per cento realizzati un ventisei per cento realizzabili un ventisette per cento irrealizzabili ed un ventotto virgola radice di due per cento repressi ma non per questo soppressi e al tavolino di fianco altri due caffè corretti con matita blu e tequila sulla cui superficie si specchiano le labbra arse dal sole e dalla passione di due marmotte anarchiche che ormai da due mesi si incontrano tutti i giorni sempre a quello stesso tavolino fischiando indistintamente alle belle ragazze che passano con i tacchi ed ai muli trainati dai marinai del Baltico che camminano quasi sempre con gli occhi rivolti al cielo per seguire la scia dell'Airone che sin da piccoli i loro genitori raccontano illuminare la strada quando il sole tramonta perché quando tramonta il sole nella nebbia della spiaggia lei, ancora lei, maledettamente lei, si ricorderà di quella piadina limone mortadella e nutella che avevano mangiato insieme sulla panchina del parco in una di quelle ventisette estati che lentamente si sono accumulate sul suo cuore come ventisette centimetri di neve fiocco dopo fiocco.

E ripensando a quella piadina sorridente come un sorriso di uno smile di messenger anche lui cominciò a roteare insieme a quei cinquantatre minuti di ricordi delle loro vite che si erano sovrapposte per cinquantatre minuti sopra quella panchina vicino ai portici ed ai piccioni e lo spettacolo visto dalla cima del grattacielo ora divenne emozionante per tutti coloro che si erano affollati lassù, ovvero un'ape che aveva sbagliato strada, cinque muli che erano sfuggiti alla presa dei propri padroni del Baltico, cinque anziani ospiti dell'asilo nido dell'ottantaquattresimo piano e sei miliardi di turisti giapponesi con il passaporto scaduto. Lo spettacolo dalla cima del grattacielo pullulava di torri Eiffel che roteavano insieme a lui, a lei, ai ricordi di lui, alle paure di lei, all'arcobaleno da cui pendeva dondolando l'intera pellicola srotolata di un film in bianco e nero degli anni '60 e ai sogni di entrambi che periodicamente si scontravano dando vita a scintille o a gocce di rugiada che imperlavano le ali dell'Airone il quale aveva chiuso gli occhi e planava sospinto dal vento che avvolgeva le finestre piatte del grattacielo trascinando con sé migliaia e centinaia di granelli di polvere a sprazzi illuminati dalla luce del sole e dalla luce dei loro occhi.

Il bardo entrò nella sala reale sei millesimi di secondo dopo che un turista giapponese distratto rischiò di essere punto dall'ape che aveva sbagliato strada e si accovacciò a terra di fronte alla regina, al re e allo spazzacamino, iniziando a canticchiare il motivo che tutti stavano aspettando e desiderando sin dal giorno in cui lo avevano assunto a tempo indeterminato a corte e nel canticchiare quello stesso motivo che tutti avevano aspettato sin dal giorno della sua assunzione non poté celare una lacrima dall'occhio sinistro ed un balenio di eccitazione dall'occhio destro nello scorgere gli stivali rispettivamente destro della regina e sinistro del re. Quattro dei cinque muli, a quella vista, scoppiarono in un pianto a dirotto e solo l'intervento tempestivo della marmotta più vecchia, che allungò prontamente loro un grosso fazzoletto di pizzo rosso impedì che le loro copiose lacrime baltiche inondassero le strade affollate della città e inzuppassero i risvolti dei jeans dei turisti giapponesi i quali ignari di ciò che stava succedendo in mezzo a loro eruppero in un applauso fragoroso convinto estasiato entusiasta roboante nel vedere lei e lui, rispettivamente aggrappati con la mano destra alla Torre Eiffel, con la mano sinistra alla zampa dell'Airone che ancora planava trainato dal vento e con i capelli bagnati di rugiada e immediatamente asciugati dal sole che era nel frattempo sorto tra l'indaco ed il giallo dell'arcobaleno.

Le immagini roteanti ancora galleggiavano come inverni, come stagioni, come parole che univano in un filo immaginario ma da tutti immaginato i sentimenti del bardo, della regina, di lei, dell'ape, di lui, della regina, del re, dello spazzacamino, dei sei miliardi di turisti giapponesi, di lei, dei marinai del Baltico, di lui, della marmotta più vecchia, dello spazzacamino, di un film dalla pellicola srotolata in bianco e nero degli anni '60, dei piccioni sotto la panchina, del bardo, dello stivale destro del re, di lui e della Torre Eiffel, della piadina a forma di sorriso, dell'Airone che ancora planava trascinato dal vento, dei granelli di sole di tanto in tanto illuminati dalla polvere, di lei e dei suoi occhi maliziosi ansiosi con intenzione, Got the music in you baby, Tell me why You've been locked in here forever & you just can't say goodbye.

Ciao, cosa hai fatto oggi?

Mi hanno rapito.

Capisco. E come è andata?

Abbastanza bene, grazie. E tu?

Abbastanza bene anch'io, grazie.

Ascolta, adesso devo assentarmi cinque minuti.

Va bene.

Se suona il telefono...

Rispondo io.

Ecco, grazie.

Ci penso io. E voleremo insieme in carne e ossa, rotte o intere che siano.