UN BOUT DE LEUR SOLEIL
"A te che cerchi di capire
E che provi a respirare aria nuova
E non sai bene dove sei
E non ti importa anche se in fondo lo sai che ti manca qualcosa"
Eccoli, li ho riconosciuti subito, non appena li ho visti. Lei ha parcheggiato la sua utilitaria e lui la sua familiare, in mezzo alle altre macchine colorate.
Li ho riconosciuti subito, dal primo momento in cui li ho visti, fermi in mezzo al parcheggio, in piedi, abbracciati, bocca contro bocca.
Lei era scesa dalla propria utilitaria, con i tacchi ed il vestito estivo svolazzante. Sono i primi giorni caldi di Giugno.
Lui in abito intero grigio, senza cravatta, con la borsa del computer a tracolla, era sceso dalla propria familiare parcheggiata una cinquantina di metri più in là.
Il parcheggio è prospiciente il parco cittadino, con gli inconfondibili giochi di luce prodotti dal sole che filtra tra le foglie degli alberi. Fa caldo al sole, ma si sta benissimo all'ombra.
Li ho riconosciuti subito e ho visto in loro ricordi, storie vissute o immaginate, racconti ascoltati o letti.
Si staccano finalmente, le bocche si staccano ed i respiri si calmano. Sono parole quelle che adesso si scambiano, uno di fronte all'altra mentre una signora con i capelli biondi tinti attraversa il sole nello spiazzo del parco appena di fianco al parcheggio, al guinzaglio un tranquillo barboncino sorridente. Più in là alcuni ragazzi stanno giocando a calcio in un'aiuola del parco ed il rumore del pallone in lontananza accompagna le loro parole a bassa voce per me indistinguibili.
Lui va verso la propria macchina e lei rimane a guardarlo.
Lui si gira e torna ad abbracciarla, lentamente, come è lento tutto quel che avviene nelle prime ore dei pomeriggi estivi.
Mi sembra di sentire tutta l'intensità di quell'abbraccio. Mi sembra di sentire anche la lancinante mancanza dell'intensità di un abbraccio come quello.
Mi distraggo e mi guardo intorno. In verità sto pensando a quel che stanno provando. Sto ripensando a quel che provano, a quel che prova lui e a quel che so che prova lei.
Quando ritorno a volgere lo sguardo verso di loro lui sta salendo sulla propria familiare, dopo aver posato la borsa del computer sul sedile posteriore e averle mandato un bacio a distanza.
Lei abbozza un sorriso. Un sorriso che mi sembra triste. Il sorriso triste che talvolta segue certi saluti.
Quando ci rivedremo? Si chiede. Ma prima di rispondersi la vampata ancora vivida sulla pelle e dentro la pelle avvolge ogni cosa.
Mentre guida verso l'ufficio lui mescola sensazioni a previsioni. Oggi devo finire quel lavoro. Ci penserò dopo. Quanto era bella oggi, e quanto avrei voluto rimanere più a lungo.
Mentre richiude la portiera lei guarda automaticamente il cellulare. Forse si aspettava già un messaggio. Forse glielo manderà lei per prima, anche se non vorrebbe. Anche se forse spera che glielo mandi lui per primo. Anche se forse non vuole aspettare di scoprire se lui glielo manderà davvero.
Vi ho riconosciuti subito e il mio abbraccio avvolgeva il vostro abbraccio.
E avvolgeva anche quel bacio violento appoggiato alla balaustra della terrazza panoramica. Era il venerdì della sfilata di Carnevale. Sotto la terrazza, in lontananza, riecheggiavano ancora le grida e le risate delle maschere e dei carri. Non ne vedemmo neanche uno, non lanciammo nemmeno un coriandolo in quel pomeriggio di Marzo, appoggiati al parapetto di Castel San Pietro.
Come avvolgeva un altro bacio, quasi incredulo, sulla panchina del parcheggio di un supermercato della periferia di Pavia. Era Febbraio e faceva già caldo quel pomeriggio. Ricordo che la sera sarei andato ad allenare una partita e che un paio di ore prima, quando mi dicesti oggi è l'ultimo giorno che lavoro qui, mi affrettai a rincorrerti per lasciarti un biglietto con il mio numero di telefono. Credevo che avrei dimenticato rapidamente i tuoi occhi e quel biglietto, ma casualmente mi chiamasti quasi subito.
Riavvolgeva anche quel bacio di un altro parcheggio di un altro supermercato, in un'altra città, in un'altra regione, tanti anni dopo. La tua mano mi coprì la bocca mentre la tua bocca si appoggiò delicatamente sulla tua mano. Ma ben presto quella mano scivolò via dalle labbra che non trovarono più alcun impedimento. Curiosamente, dev'essere stato Marzo anche quella volta. Il primo sole di Marzo, i giorni del tuo compleanno, la bassa veronese.
E ancora più indietro, ne avvolgeva un altro ancora, davanti al cancelletto di casa tua. Eravamo appena tornati da qualche giorno di vacanza in Valle d'Aosta, in colonia. Era Luglio e ricordo ancora le parole che ti dissi. Così come ricordo ancora il tuo sguardo di risposta. E la scusa che inventasti il giorno dopo per venire a trovarmi. E le scuse che inventammo nei giorni seguenti.
Ai due lati del parcheggio, rispettivamente alle due estremità del parco cittadino, due bar con i tavolini all'aperto e pochi avventori seduti a bere il caffè per rimanere svegli durante il pomeriggio.
La familiare, con la freccia lampeggiante a intermittenza, si immette sulla strada e si mescola al traffico urbano.
L'utilitaria rimane ferma per qualche minuto nel parcheggio con la portiera socchiusa. Avverto il suono dell'accensione del motore e mi viene spontaneo girarmi. Sento poi chiudersi la portiera. Il riflesso ed il gioco di ombre delle foglie mi impediscono di vedere dentro. Osservo l'utilitaria nera che lentamente si avvicina all'uscita del parcheggio, dal lato opposto a quello da cui era uscita la familiare e mescolarsi essa pure al traffico urbano.
E dopo aver ricordato tutte le scuse che inventammo nei giorni successivi, ricordo la paura tornando a casa, la preoccupazione di non essermi ricordato qualcosa, la preoccupazione di ricordarmi troppe cose.
Ricordo il desiderio di rimettere ogni cosa a posto, ogni pensiero, ogni emozione. Di scrollarmi di dosso quelle emozioni ingombranti, come si era scrollato l'acqua di dosso il barboncino della signora dai capelli biondi tinti dopo essere uscito, sempre sorridendo, dalla fontana del parco. Il desiderio di ricominciare tutto come sempre, di preparare la cena, cenare insieme, raccontarci cosa abbiamo fatto oggi in ufficio e pensare a cosa fare il prossimo week-end.
L'affitto questo mese lo pago io e tu paghi la bolletta della luce, ok?
Ok!
Il cellulare vibra e la vibrazione rimbomba sulla plastica rigida del cruscotto. La mano si stacca repentinamente dal volante ed afferra il telefonino. Una faccina atteggiata a bacio da cui esce un cuoricino rosso intenso. Un volto che arrossisce e sorride altrettanto repentinamente.
Nello stesso momento, in qualche altra via cittadina, le dita scorrono rapide sul cellulare e selezionano l'ultima conversazione. Il polpastrello preme lo schermo in corrispondenza del disegnino di un bidone della spazzatura. I pensieri passano rapidamente dall'incontro di pochi minuti prima alla riunione di pochi minuti dopo. Dovrebbe essere tutto a posto.
- Ti scrivo io, ok? - Ok! (faccina che manda un bacio)
- Oggi l'ho rivisto. - Ancora??? (faccina incredula e sorpresa)
- Ciao amore. Stasera facciamo la pizza in casa?? - Sììììì!! Bellissima idea! Grazie!! (faccina che sorride e arrossisce)
- Doveva passare di qua x andare a riunione... Faccina sorridente che strizza l'occhio. - E quindi, come è andata? - Sei libera stasera, ci facciamo spritz ke ti racconto? (occhiolino)
Così come ricordo i buoni propositi della sera.
"Dai, se ci pensi però potrebbe anche essere una cosa utile a entrambi. Non è la stessa cosa, sono due cose talmente lontane. E se io sono più sereno è meglio per entrambi."
"Com'è che diceva quel libro? Che in un rapporto di coppia non è importante tanto quello che si fa o che si può fare con le altre persone, ma quello che conta è esserci quando si è insieme, dare al proprio compagno o compagna ciò di cui ha bisogno. Beh, però è vero! No?"
Dall'alto della torre del campanile la città sembrava intorpidita. I suoni arrivavano attutiti, qualche rondine attraversava il cielo rapidamente. I tetti delle case, alcuni rossi, alcuni grigi, immobili e silenziosi. Le strade, lungo le quali si scorgevano appena alcune persone camminare sui marciapiedi. La piazza, a quell'ora non ancora affollata, con la striscia d'ombra lungo il lato più lontano dal campanile. Poco più in là le chiome irregolari degli alberi del parco e le macchie colorate delle macchine parcheggiate nel parcheggio ad esso prospiciente. La maggior parte erano ferme, ma di tanto in tanto qualcuna nuova arrivava, si aggirava cauta tra le altre e quelle più fortunate trovavano uno spazio per loro, in cui sostare per il tempo di un gelato ad uno dei due bar, di una commissione e di un abbraccio.
Loro stanno passeggiando sull'argine del fiume, in una bellissima mattinata di sole primaverile.
Si frequentano da quattro mesi, quattro bellissimi mesi.
Si stringono la mano e lei gli chiede: ma se un giorno tu facessi qualcosa con un'altra poi me lo diresti, vero?
Lui rimane in silenzio per qualche secondo. La guarda e sorridendo le risponde: non lo so. Cioè, sto cercando di immaginarmi la situazione. Ma come faccio? Vengo lì da te un giorno e ti dico come se niente fosse sai ieri sono andato con Tizia?
Lei rimane in silenzio per qualche secondo.
Lui le stringe la mano più forte, perché ha bisogno di stringerle la mano più forte.
Le chiede: e tu? Come faresti?
Proseguono a passeggiare sotto il bellissimo sole primaverile che illumina l'argine del fiume.
Lui pensa che probabilmente tanto non succederà mai.
Lei ha paura ma sorride e finge di non pensarci più.
Si guardano attorno inebriandosi del momento, dell'entusiasmo di essersi conosciuti da pochi mesi, di stare camminando mano nella mano nella stessa direzione, di iniziare un infinito percorso insieme.
Illuminati dal sole tra le altre persone che stanno passeggiando come loro sull'argine con il cane, la bici o il proprio compagno, di una vita o di un giorno.
Ci vediamo nel parcheggio davanti al parco alle 2, ok?
Ok!!!