DOVE SI VIVE
Ci sono molti posti, sulla Terra, in cui non entreremo mai, nel corso di tutta la nostra vita. E posti in cui la maggior parte di noi non entrerà mai, o quasi mai. Eppure, quando ci si entra, rimangono indelebilmente impressi. Penso alle montagne russe, a un autobus nella notte invernale norvegese quando improvvisamente sorge l'aurora boreale, a qualche grotta sperduta sulle Ande o a un sommergibile, preferibilmente giallo. Ma anche a una terapia intensiva qualche giorno prima di Natale.
Si finisce quasi con il farci l'abitudine.
Tuff... tuff... tuff... mentre il suono dei tuoi passi ti accompagna lungo il corridoio, attutito dai copriscarpe. Tuff... tuff... tuff... e per un attimo ti ritrovi a camminare come quando esci a comprare il pane, pensando ad altro. Questione di un attimo, perché subito dopo quel fremito ti riporta alla realtà e ti ricorda che non puoi abbassare la concentrazione, che non puoi dare per scontato che, dopo avere svoltato le prossime due curve del corridoio, quel che vedrai oggi sarà uguale a quel che hai visto ieri. Anche se è da tre o quattro giorni, ormai, che è uguale.
Ma questi non sono gli equinozi o i solstizi, che si ripetono prevedibili ogni anno.
Tuff... tuff.. tuff... mentre segui la riga gialla che a un certo punto si separa da quella rossa e da quella blu. Ognuna va nella propria direzione, in un proprio corridoio, seguita da persone diverse, seppure vestite proprio come te, con gli stessi copriscarpe di plastica blu e quel grembiule verde che assomiglia a quello dei salumieri, se non fosse per il colore diverso.
E dopo qualche giorno ti ritrovi ad esserti abituato a queste nuove abitudini, così precarie ma così tenaci. E ti aspetti di incontrare le stesse persone del giorno prima, di ritrovarle sedute sulle stesse sedie della sala di aspetto con la stessa espressione del giorno prima. Anzi, no, quella no, quella te lo aspetti che potrebbe essere cambiata e anzi, ogni volta che arriva qualcuno per prima cosa ne scruti l'espressione per cercare di capire che cosa sia cambiato. Perché la prima cosa che hai capito è che qui è come sulle montagne russe, non hai il tempo di capire cosa ti stia succedendo che ti sta già succedendo qualcosa di diverso. Il vuoto allo stomaco del precipizio è già stato sostituito dal vorticoso roteare della testa. E il vorticoso roteare della testa si ritrova improvvisamente a risalire lentissimamente su per una salita insieme all'ansia del precipizio successivo.
Tuff... tuff... tuff... e mentre svolti la prima curva del corridoio cominci a sbirciare avanti, dietro alle vetrate delle prime camere e guardi se ci sono ancora tutti. La signora pelata, il signore rosso in volto, l'uomo nero e quello che sembra Einstein con la bocca sempre aperta.
Nel camerino ("filtro", lo chiamano loro) tua mamma ha aiutato, come sempre, chiunque fosse a portata delle proprie braccia ad allacciarsi il camice, soprattutto il nodo in alto, dietro al collo, quello più difficile da farsi da soli. Un sorriso per ciascuno e un ringraziamento da ciascuno. "Lasci, faccio io". "Se non ci si aiuta tra di noi". E tu hai smesso di dirle di non essere invadente. Anzi, non solo hai smesso di dirglielo, ma hai perfino smesso di pensarlo. E quasi quasi la invidii, e vorresti proporti tu di allacciare il nodo a qualcuno, la volta successiva. Ma sì, magari proprio a quella ragazza che viene già da un paio di giorni da sola. Perché in fin dei conti, non si sa mai. Nei film di solito comincia proprio tutto così, no? "Aspetti, posso aiutarla?" "Sì, grazie" (con un mezzo sorriso abbozzato e imbarazzato) (e con un mezzo sorriso abbozzato che le contraccambieresti). Per poi ritrovarsi dopo, durante le due ore e mezza di pausa tra una visita e l'altra, al bar al piano di sopra e poterle chiedere "Oggi come va?". E poi? Boh... ne ho visti troppo pochi di film, probabilmente.
Davanti a te scorgi i due fratelli che tu hai deciso arrivare dall'Iran e che ogni pomeriggio, nella pausa tra una visita e l'altra, si tolgono le scarpe e sussurrano le loro parole magiche con i palmi delle mani rivolti verso l'alto. Mentre dietro di te lo sai che sta camminando con lo sguardo ansioso e nervoso la signora con i capelli lisci che in sala d'attesa guarda sempre il telefonino per tutto il tempo.
Tuff... tuff.. tuff... arrivi alla grossa scrivania con gli infermieri e le infermiere e, nonostante il tuo fremito stia aumentando e i tuoi occhi non riescano a staccarsi per più di mezzo secondo dalla postazione numero 8, distante ancora alcuni metri, non puoi fare a meno di dare una rapida occhiata per vedere se oggi c'è quella mora carina o quella alta bionda. Ma poi te ne dimentichi subito perché sei arrivato nella tua postazione, la numero 8. Anzi, nella sua postazione.
Bip... bip... bip... il suono dei passi viene sostituito da quello dei monitor, dei computer, degli schermi interattivi e di tutti quei macchinari che ti ricordano tanto quelli per controllare la pressione e la portata del metano nei tubi in acciaio sotto terra, sui monitor che si trovano sui computer nell'ufficio dove lavori, 200 km più a est. Le voci degli infermieri che scherzano tra di loro o che si danno le istruzioni per aumentare il dosaggio della dopamina al numero 3 creano un sottofondo piacevole, quasi allegro: "Oggi alziamo di 100 mbar la pressione nella cabina di Palù che comincia a far freddo e le persone accendono tutte il riscaldamento", così simile a: "Porta la dopamina a 6.00 che la pressione è molto bassa, oggi, la massima non arriva a 90. Poi più tardi caso mai la riabbassiamo".
E finalmente, in un altro pomeriggio di dicembre, poco prima del prevedibile solstizio, in quel momento imprevedibile, ti ritrovi nuovamente a tu per tu con lei.
Tu, e lei. Lui, e lei. Tua mamma, e lei. La signora del letto di fianco, e lei. Einstein con la bocca aperta, e lei. Il dottore, e lei. Il sacchetto con la pipì, e lei. I guanti verdi di lattice, e lei. Tuo papà, e lei.
E la vedi in tutta la sua forza, in tutta la sua potenza.
E non riesci a trattenere un silenzioso grido di commozione di fronte alla sua potenza, alla sua pervicacità.
La vedi in ognuno di quei tubicini che vanno avanti e indietro di tutti i colori, nelle loro tracce di sangue, di pipì, di medicinali dal nome fantasioso, di ossigeno, di ricordi, di sospiri, di pianti, di paura.
La senti in ciascuno di quei respiri affannosi ma regolari, regolari come il ritmo di un software programmato per mantenerli regolari come i grafici che ininterrottamente si disegnano sul monitor appena sopra la tua testa, dietro al letto.
La vedi in ciascuna di quelle macchie di sangue su volti, braccia, crani rasati, teste spettinate, attraverso quelle fasciature incredibilmente scultoree, brandelli di garze che sporgono dai bidoni della spazzatura, ecchimosi ed ematomi.
La senti nuovamente nelle parole bisbigliate dalla moglie del numero 5, dai figli del numero 12, nelle parole gridate dalle due sorelle del numero 9, proprio di fianco a te. "Lo stimoli, signora, lo stimoli".
Oh, sì che la vedo, e non l'ho mai vista così forte come in quel luogo di morte. E vorrei gridare a squarciagola, e vorrei piangere e saltare con lei. E con tutti loro, così rigidamente e tenacemente abbarbicati ai letti grigi e ai lenzuoli verdi.
Vorrei essere il burattino guidato dalla loro incredibile forza, dalla loro inconcepibile tenacia. Quando non hai più nient'altro a cui aggrapparti, se non un brandello di lenzuolo verde increspato.
E la tua, dov'è? E la mia, dov'è?
Quando ci alziamo svogliati la mattina per andare a lavorare, la nostra, dov'è? Quando mi addormento davanti alla TV, dov'è? Quando mi appisolo davanti allo schermo del PC alle due del pomeriggio dopo un succulento ed inutile pranzo di lavoro, dov'è? Quando non so cosa fare, dov'è? Quando mando affanculo la signora che ha parcheggiato la macchina davanti al cancello del mio garage, dov'è? Quando al corso di teatro ho paura di propormi a recitare quelle ridicole parole di Shakespeare, quando ho paura di non riuscire a sorridere abbastanza bene, quando ho paura di togliermi le calze per non prendere freddo ai miei piedini sani e delicati, dov'è?
Where's your life?
I see it in your veins
I see it in your silent screams
I see it in the wires through your body
Where's your life?
I can see it in those eyes closed
I can see it in those trembling bodies
I can see it in their death rattles
Where's your life?
I feel it everywhere here
I feel it in that tear that moistens your close eye
I feel it in the ragged movement of your tied wrist
And you? Where's your life?
You, who can escape from this place at every moment, as soon as you feel a bit thirsty. I am talking to you. Where's your life?
WHERE
IS
YOUR
LIFE?
W
H
E
R
E
I
S
Y
O
U
R
L
I
F
E
E dormivano senza paura
E dormivano senza più paura